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Ferragosto 2008

Estratto dal diario di una vacanza indimenticabile.

Giovedì 15 agosto 2008.

Ci alziamo pieni di buone intenzioni, pronti a cercare il fatidico motorino che ci permetterà di scoprire le meraviglie nascoste di Patmos, l’isola dei monaci a sud del Dodecaneso nella quale siamo approdati in questi giorni. Al campeggio già il primo “no”, non c’è nessun motorino, e malgrado anche gli strappi di Mario (zio ad honorem di Teo e nostro personale cicerone dell'isola, dato che ormai viene qui da 17 anni) e della sua compagna Barbara, che ci portano fino a Skala (il piccolo capoluogo dell'isola) in auto per aiutarci, non riusciamo a recuperare neppure un triciclo a pedali. Gaia finisce per essere incazzatissima e dispiaciuta dall’impossibilità di visitare altre zone dell’isola, che altrimenti sono raggiungibili solo con autobus dalla cadenza irregolare e misteriosamente regolata da ritmi circadiani greci, ossia uno ogni chissà quanti minuti. Torniamo a casa nella zona di Meloi di umore nero, stanchi morti per la camminata asfaltata e per il caldo, così Teo si fa un bagno per distendersi mentre Gaia entra nella parte della Tour Operator Parrinos per decidere come difenderci dal fato avverso (che si palesa come sovraffollamento turistico) nei prossimi giorni. Cerchiamo di telefonare a Manolates, ridente paesello sui colli di Samos, ma è già tutto pieno, poi Gaia litiga quasi con le tizie dell’autonoleggio di Pitagoryo, così decidiamo di prepararci degli italici spaghetti per spezzare l’ansia e prepararci al grande evento: la festa a Los Geranios di questa sera. Mario ci risolleva poi l’umore invitandoci ad un giro in gommone per l’indomani.

Questa sera l’appuntamento è per le 17:45 dalla mitica Lula, la fidata affittacamere di Mario, per partire in macchina alla volta della agognata chiesetta sul mare. Spendiamo il pomeriggio in infruttuose passeggiate sui colli circostanti Meloi, che ci regalano la vista di :
- Un lungo serpente schiacciato sulla strada;
- L’hotel con piscina e prato verdissimo inglese;
- Ennesimo gregge di capre cornutissime, per la gioia di Teo, l’Helmut Newton dei mufloni.
Ci salvano l’ironia, anzi il sarcasmo di Teo, che commenta ogni angolo dell’isola mangiaturisti con strabordante e ridicolo odio, il panorama e la prospettiva della serata in cui reincontreremo anche gli invidiatissimi in quanto motorinomuniti Flavio e Letizia. Il primo è un vecchio amico di Teo, oste di molte delle feste dette 'Occupazioni' durante le quali lui e gli altri invitati si disintegravano d'alcolici, cibo d'ogni tipo, ottima musica e divertimenti a gogò nei ridenti anni '90. Li abbiamo incontrati per purissimo caso sul traghetto tra Lipsì e Patmos con un effetto sorpresa davvero da mascella sul pavimento. Ora anche loro dormono nella casa di Lula, e sappiamo che questa sera saranno alla festa.

Giunta sera ci facciamo belli per l’evento e arrviamo puntuali da Lula, che sarà il vero ospite clou della serata. Il tragitto fino al santuario, su una strada sgarrupata, è mozzafiato: baiette, spiagge, dirupi e si anfratti, campi coltivati a strapiombo sull’Egeo, il tutto nella luce dorata che volge al tramonto.
Ci sentiamo degli eletti e degli ospiti speciali di questa festa di ferragosto di mare e campagna. La chiesetta è sul braccio ultimo dell’isola ricoperta con una vista sul possibile. E’ bianca e modesta, con un cortiletto di fronte dove sono stati predisposti tavoli e panche. Alcuni fedeli sono già in posizione, anziani, bambini e famiglie con l’abito della festa; dei polipi penzolano sulla rete e degli uomini corpulenti sembrano prepararsi ad accendere la brace per le griglia, quindi Teo li osserva attento e speranzoso e già affamato. Entriamo nella chiesetta e ci godiamo il profumo delle torri di pane pronte  per la benedizione: questa volta non ce li lasceremo scappare! Ci sentiamo belli e fortunati ad essere proprio qui in questo momento. Mentre il coro con un pope e almeno tre omoni di buona stazza in borghese si preparano, arrivano anche dei turisti curiosi che si mescolano con le loro tenute estive ai fedeli compiti e pronti. Il nostro Manolis, quello che stamattina puliva le nostre camere, suona la campana. Sotto le sferzate del melteni, il vento dell'egeo, con i microfoni cigolanti di feedback, ha inizio la cerimonia, cantata, sentita e – per Gaia – pure piuttosto sedativa. Capiamo che il Don Mercedes (un pope che gira per l'isola con un bel macchinone ed ostenta il relativo portachiavi) ha un ruolo cruciale e Teo nota il climax musicale prima della benedizione. Ci spostiamo al di fuori del cortile vicino alle braci e piano piano, mentre si avvicina il tramonto, compaiono pane, vassoi di insalata e alla fine perfino dell’ottima carne, tutto offerto ai fedeli ed agli xeni (stranieri) come noi. Siamo sbalorditi e “serviti e riveriti”, è un’accoglienza grandiosa e gioiosa, ed ha ragione il sempre sorridente Flavio quando dice che la cerimonia è un piacere per tutti i sensi, dai canti all’odore di incenso, fino all’ottimo cibo, passando anche per i contatto tattile con la gente stipata. Il tutto colorato dalla luce del tramonto sul mare. Iniziano le danze, rette da un’orchestrina tradizionale con tanto di virtuoso e krostopoviciano violino, e sono così trascinanti che, forse complice l’ottimo vino bianco offerto in bottiglie di plastica, una piccola delegazione capitanata dalla congrega di Patmos si lancia nel ballo. Una nonna con una rosa rossa nello chignon è davvero la più generosa ed entusiasta, e si muove come un’anziana Tersicore. Assistiamo a bordo pista e ci lasciamo contagiare da questo rito gioioso, eccezionale, denso come uno sciroppo e dolce come un moscato: le feste così dovrebbero essere un must ovunque!
Anche Mario e la sua bengentile si entusiasmano e mangiano allegri, quando fino ad un’ora fa minacciavano di portarci via a festa appena iniziata, e così con loro, Flavio e Letizia trascorriamo una delle cene più allegre ed indimenticabili della nostra vita.

Quando ormai la luna è alta nel cielo andiamo a recuperare Lula e ci incamminiamo verso il parcheggio, dove a causa del gran numero di macchine il percorso è un po’ ostacolato e difficile, ma il Padoan riesce, tra una soffiata di pipa, una sommessa bestemmia e qualche parola in greco agli altri guidatori a districarsi e portarci via. Lula commenta, ride, suggerisce mosse.

Arrivati a Meloi però siamo ancora svegli ed allegri, così decidiamo di fermarci da George a prendere qualcosa da bere; ordiniamo Ouzo e dolci e cominciamo a riversare Lula di domande sui nostri dubbi greci sulle chiese, su chi le possiede e come vengono “usate”. Lula, grazie alla traduzione di Mario, ci spiega che in occasione di speciali ricorrenze sante, il Pope viene chiamato ad officiare il rito, ed ogni chiesa è  dedicata ad un particolare santo che porta lo stesso nome di un familiare caro. La chiesetta di Meloi e difatti dedicata a Fotini (“Lucia”, in greco), ossia la nonna di Manoli.

Parallelamente alle delucidazioni sulle tradizioni religiose greche si svolge un più laico dialogo tra Gaia e Barbara a proposito della popolazione di Falconara Marittima, che verte su una certa signora Maria Castoldi, vedova di Galeazzi… Mario ricorda di quando tanti anni fa, prima di prendere il traghetto, i bambini, tra cui il suo Giuliano (grandissimo amico d’infanzia di Teo), all’alba scalpitavano per fare il bagno nel mare caldo di Falconara.

Tutto questo mentre a più riprese Lula si alza e va a salutare parenti, vicini ed amici e poi due nipotone che le si avvicinano per farsi amorevolmente spupazzare. Lei non le delude. Questo non ci ferma dal farle mille domande, e così, sempre con Mario interprete italo-greco/veneto scopriamo che è stata in Italia più volte in viaggio con il marito Spyros e che le è sono piaciute molto: Roma, Venezia, Pisa… E’ bizzarro saperla così giramondo e poi accorgersi che in questo ristorante, di proprietà del cugino e a venti metri da casa sua, non ci viene quasi mai, al punto d’essere accolta come un’ospite d’onore.
Alla fine offre tutto lei e ci saluta mentre torniamo a casa carichi di un senso di gioia ed amicizia.

-

In un attimo Teo è già sul soffice divanetto del balcone mentre Gaia fa la sua toeletta in bagno. Quando esce, lui la chiama, le chiede di spegnere la luce in casa e di stendersi accanto a lui in quell’angolino di paradiso che dà direttamente sul mare. Ha un fare giocoso e indaffarato e di sotto alle chiappe tira fuori un piccolo sacchetto di carta sigillato dalla coccinella rossa.
“Aprilo, è per te.”
“Cos’è? Non dovevi.”
“L’ho preso a Lipsi e me lo sono tenuto nei pinocchietti finora dal giorno in cui abbiamo preso il traghetto per venire qui.”
“E perché?”
“Perché…Tatona… Ci sposiamo?”
“...”
“???”
“Sì sì sì!”
A questo punto ci abbracciamo e piangiamo un po’, increduli e felici, ma Gaia chiede ancora una piccola cosa:
“Allora non ti sei inginocchiato…”, al che Teo si inginocchia sul divanetto, ripete la domanda a Gaia e ci abbracciamo ancora, per poi restare nella notte stretti mentre le nostre lacrime si scovano incredule.



Dopo la commozione, Gaia decide di riaccendere la luce per vedere l’anellino e Matteo le racconta che Gaia lo aveva segnalato in uno dei giorni precedenti, dicendo che le piaceva, lì alla bancarella di Lipsi. E' in metallo con un bottone blu piatto, smaltato, con sei pallini azzurri.

Lei lo indossa soddisfatta e ancora scossa, poi ci stendiamo a letto e cerchiamo di far durare questo momento felice quanto più possibile. Questa sera non c’è bisogno di Erodoto, abbiamo già la nostra fiaba personale.

Gaia & Teo